Viaggio verso un’Ecologia dei Sistemi Organizzativi, ultimo capitolo
A conclusione del nostro Viaggio possiamo azzardare alcune previsioni circa le sfide che attendono i sistemi organizzativi aziendali nel prossimo futuro in relazione al tema ben-essere. Il primo e cruciale passo da compiere è vincolato alla consapevolezza. Di che cosa? Del fatto che investire tempo, energia e risorse nella creazione di ambienti lavorativi ecologici non è un’attività accessoria e lo sarà sempre meno. Il rispetto, la tutela e la promozione dell’individuo nella sua integrità è ormai un fattore imprescindibile per lo sviluppo dell’impresa; e questa cultura, spesso soltanto dichiarata ma per nulla agita, deve iniziare a tradursi in azioni concrete. Fino a che gli occhi resteranno puntati ossessivamente sulla ricerca di profitto economico (a tutti i costi) si perpetueranno inevitabilmente gli errori che ci hanno condotto nelle fauci della più pesante crisi che la società contemporanea abbia conosciuto. Quella a cui sembrano chiamate le organizzazioni è una sorta di “rivoluzione umanistica“, ovvero il recupero della dignità e del valore dell’essere umano al di sopra, o meglio a prescindere, dal Capitale. Le ricerche (e la storia) ci dicono che questo approccio apparentemente paradossale tutela e garantisce molto di più la prosperità di un’azienda; ciò accade semplicemente perché viene dato alla dimensione economica un peso relativo invece che assoluto, riconoscendo all’essere umano bisogni che non vengono completamente ricondotti al piano materiale. Se accettiamo il fatto che, come individui, necessitiamo di relazioni e di realizzazione esistenziale almeno tanto quanto abbiamo bisogno di “cose”, allora non possiamo che muoverci nella direzione di una umanizzazione dei sistemi organizzativi. E questo è tanto più vero quanto più ci rendiamo conto che il tempo-vita dedicato all’attività lavorativa è decisamente cospicuo. Non ci possiamo più permettere di ragionare per compartimenti stagni, ovvero di accettare e contribuire a creare ambienti lavorativi malsani nella convinzione che sia un male necessario e che, ad esempio, la soddisfazione relazionale o spirituale debbano essere ricercate altrove e in un altro tempo. Questa visione del mondo è perdente sotto tutti i punti di vista e a tutti i livelli.
Queste considerazioni sono peraltro quanto mai cruciali oggi, laddove proprio a seguito della crisi finanziaria nella quale ci siamo infilati, le aziende hanno assunto un ruolo sociale determinante. Il cosiddetto Secondo Welfare è un fenomeno in ascesa e non potrebbe che essere cose: nella misura in cui le istituzioni sono sempre meno in grado di garantire alla popolazione i servizi minimi di tutela del benessere, le imprese private sono chiamate a farne le veci. Certamente questo non è un buon segno in termini di sviluppo collettivo, e tuttavia può essere un’ottima occasione per le organizzazioni di mettere in moto quel processo di umanizzazione cui si è accennato. Tra l’altro, nemmeno a farlo apposta, come abbiamo visto “le iniziative e le opportunità più apprezzate dai dipendenti non sono quelle legate a beni o benefit materiali, quanto quelle che aiutano la persona a gestire meglio la relazione fra vita privata e vita lavorativa (permessi, orari flessibili) e ne tutelano l’integrità personale e sociale (convenzioni sanitarie, opportunità per i figli). Insomma, la parola chiave sembra proprio essere “integrazione“: quanto più un’organizzazione riesce a percepire e rapportarsi ai propri dipendenti in modo integrale e integrato, tanto più crescerà “in salute”, ovvero si garantirà un ben-essere solido e duraturo.
Allargando la prospettiva, un’azienda sana al suo interno tenderà a relazionarsi all’esterno (con il mercato di riferimento o il tessuto civile in cui A? inserito) in modo altrettanto ecologico. In questo caso la parola d’ordine è “interdipendenza“: la capacità di sentirsi responsabile del ben-essere delle reti di cui è parte è una caratteristica tipica delle organizzazioni evolute e consapevoli. E anche se a questo livello, più ampio, cambia ovviamente la complessità delle variabili in gioco (tipologia di interlocutori, molteplicità di interessi), rimangono validi esattamente gli stessi principi applicati internamente. La strada da compiere è ancora lunga ma, guardandosi intorno, è difficile scorgere alternative convincenti. Concretamente, ciò che serve sono due cose: Cultura ed Esempi, non necessariamente in quest’ordine. Di esempi grazie al cielo non ne mancano (come abbiamo avuto modo di mostrare) ma non sono ancora sufficienti a dare il via ad un processo macroscopico significativo; dunque è necessario che il dibattito culturale rimanga vivo, diffondendo la conoscenza di buone pratiche, sviluppando idee, favorendo la creazione di reti.
Il Viaggio verso un’Ecologia dei Sistemi Organizzativi che qui si conclude è stato un modo per contribuire, ci si augura costruttivamente, alla transizione in atto.