Mindfulness: 7° capitolo del Viaggio verso un’ecologia dei sistemi organizzativi
Dopo esserci dedicati ad un approfondimento sulle ragioni scientifiche che dimostrano in che modo le pratiche di consapevolezza contribuiscono al miglioramento del ben-essere personale, proviamo ora a chiederci se queste tecniche (e i paradigmi che le sostengono) ci possono dare anche l’opportunità di fare un salto di qualità in termini di ecologia organizzativa, così come definita nel capitolo 1. Già sappiamo che la loro introduzione in contesti organizzativi strutturati porta benefici sia soggettivi (rilevati dagli individui) che oggettivi (misurabili in termini di efficacia ed efficienza), ma che cosa rende le pratiche di consapevolezza speciali, diverse da un qualsiasi percorso formativo dedicato alla salute e sicurezza sul lavoro o da una qualunque iniziativa di welfare?
Una prima, sostanziale, differenza è la dimensione esistenziale sulla quale agiscono. Formazione aziendale e policy di welfare incidono principalmente sulle dimensioni del fare e del conoscere, ovvero forniscono competenze e conoscenze specifiche o intervengono facilitando direttamente e operativamente la vita dei dipendenti. Le pratiche di consapevolezza sviluppano invece la dimensione dell’essere, ovvero consentono al soggetto di prendere contatto e confidenza con quel sé che viene prima di qualsiasi nozione, capacità o esigenza operativa, così che i benefici nati da questo contatto permeino la vita (professionale e non solo) in modo indiretto, a cascata. Viceversa, i benefici relazionali (empatia, ascolto, cooperazione) generati dalle pratiche meditative si manifestano direttamente, a differenza di quasi qualsiasi altra policy dedicata al benessere organizzativo, le cui ricadute in termini relazionali sono (eventualmente) indirette.
In accordo alla tradizione buddhista, la meditazione di consapevolezza agevola l’emersione di 4 virtù fondamentali: compassione, gentilezza amorevole, equanimità, gioia simpatetica; è evidente che ambienti sociali in cui si coltivino pratiche che sostengono e promuovono questo tipo di attitudini saranno tendenzialmente più sani (per coloro che li abitano e li perpetuano) rispetto a luoghi in cui ciò non accade. Proseguendo nella riflessione e provando ad allargarne lo spettro, possiamo azzardarci a dire che il paradigma organizzativo (e prima ancora antropologico) che suggeriscono e verso cui conducono le pratiche di consapevolezza mostra alcune caratteristiche ben precise: è cooperativo, sostenibile, evolutivo, inclusivo, sistemico; al contrario di come spesso invece si rivelano i contesti professionali entro i quali siamo abituati a muoverci: competitivi, individualistici, esclusivi, utilitaristici.
Andando ancora oltre, si può arrivare addirittura a mettere in discussione e ribaltare un assioma intoccabile del mondo capitalistico: il fine ultimo di un’impresa è generare profitto economico attraverso il lavoro di chi ne fa parte. In questa prospettiva paradossale, l’organizzazione diventa piuttosto un ambiente volto alla creazione di valore e allo sviluppo integrale di coloro che la costituiscono, attraverso un’attività moderata da fattori economici. In sostanza il denaro diviene un mezzo invece che un fine, riposizionando l’essere umano al centro del processo.
Può darsi che, leggendo o rileggendo queste ultime frasi, la reazione sia quasi divertita per non dire sarcastica; qualcosa tipo: “Magari nel mondo dei sogni”, oppure “Questa roba è pura fantasia!”. Beh, riprendendo l’incipit del nostro Viaggio , conviene non essere troppo precipitosi: forse, se tale prospettiva ci appare così scollata dalla realtà che conosciamo, è proprio a causa della nostra dolorosa assuefazione a culture organizzative molto poco ecologiche. Va detto che in Italia questo tipo di riflessioni sono ancora piuttosto marginali e le esperienze decisamente sporadiche, tuttavia ci sono segnali incoraggianti. Fra gli enti che da più tempo promuovono la diffusione delle pratiche di consapevolezza in contesti aziendali c’è ad esempio ManagerZen , che dal 2000 ad oggi ha realizzato interventi formativi per Telecom, Allianz, Barilla, Manpower… In particolare nel 2009 ha avviato un progetto di ricerca sugli Effetti della meditazione vigile in azienda presso Davines (azienda cosmetica di Parma), sotto la guida di Vittorio Mascherpa (uno dei nomi più autorevoli nel campo e promotore di diversi studi in contesti organizzativi di vario tipo); la ricerca ha portato a risultati molto positivi e in linea con la letteratura scientifica internazionale. Ma vi sono anche altre realtà , più recenti, che facendo riferimento a differenti “orientamenti” metodologici e spirituali , si stanno progressivamente aprendo al mondo delle aziende.
La stessa Fondazione ISTUD sta iniziando a proporre alle imprese percorsi di formazione e ricerca “mindful oriented” , nella convinzione che la consapevolezza sia uno dei pilastri imprescindibili sui quali poggiare una cultura organizzativa sana. Di certo il panorama rimane ancora molto frastagliato e soprattutto manca una letteratura organica a testimonianza delle (poche) esperienze maturate; è certamente sintomatico di quanto la diffidenza culturale nei confronti di stimoli percepiti probabilmente come troppo esotici o inconsistenti sia ancora alta. Bisogna inoltre considerare, più in generale, lo scarso interesse del mondo imprenditoriale italiano (salvo alcune pregevoli eccezioni) verso politiche serie e attive di promozione del benessere organizzativo. Eppure, se allarghiamo la prospettiva a livello internazionale , appare chiaro come si stia vivendo una vera e propria transizione, che cerca di evolvere da paradigmi organizzativi e culturali che si sono dimostrati ampiamente inadeguati (e la crisi economica è stata una cartina al tornasole inequivocabile) verso modelli nuovi, più integrati, consapevoli, sani. Nel prossimo capitolo del nostro Viaggio proveremo allora a tracciare il profilo di un sistema organizzativo veramente ecologico, facendo tesoro di quanto appreso e condiviso fino a qui.
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