New better ways of working
Oggi stiamo vivendo un momento affascinante della storia del Lavoro: siamo infatti assistendo a una Rivoluzione dell’Informazione che, a differenza delle precedenti, sta apportando nell’arco di pochi anni tanti cambiamenti quanti quelli prodotti in toto nell’ultimo secolo.
Un momento davvero sfidante se solo pensiamo al fatto che, da un lato, abbiamo aziende del ventunesimo secolo con sistemi di gestione del diciannovesimo secolo e, dall’altro, organizzazioni che – intuendo che il mondo sta cambiando – hanno iniziato ad affrontare il cambiamento introducendo i “new ways of working”.
Modelli, questi ultimi, basati su un concetto di flessibilità potenziata dalla tecnologia: come ormai tutti sappiamo, oggi possiamo inviare e ricevere e-mail ovunque ci troviamo, partecipare a riunioni dall’altra parte del mondo e rimanere in contatto con i nostri colleghi attraverso una varietà di strumenti “digital”.
Ma c’è di più: per queste organizzazioni il lavoratore è un individuo “intelligente” che deve avere il controllo del proprio tempo all’interno di un sistema organizzativo basato sulla fiducia, la collaborazione e il riconoscimento per il lavoro effettivamente prodotto, non per il tempo e il luogo dell’attività.
Tale evoluzione non è solo un cambiamento contrattuale: è una rivoluzione nella cultura del lavoro che implica il passaggio da una mentalità di comando e controllo a uno stile di leadership che libera le persone dall’adolescenza, trattandole come adulti che possono prendere decisioni in grado di supportare le esigenze del datore di lavoro.
L’evoluzione da schemi di lavoro fissi ad accordi altamente flessibili è un viaggio attualmente in divenire.
Alcune aziende lo hanno percorso introducendo sistemi di misurazione dei soli risultati e schemi di lavoro autonomi in cui i dipendenti hanno alti livelli di libertà. Altre lo stanno facendo “step-by-step” introducendo gradualmente diversi gradi di quest’agilità all’interno dell’organizzazione. Altre ancora invece non hanno ancora fatto nessun passo in tale ambito. Ma indipendentemente da dove si trovano in questo viaggio, c’è una direzione chiara in cui tutti stanno andando, quella del cambiamento.
Perché in fondo tutti sappiamo che è terminata ormai l’era del taylorismo, quella dove il lavoro era ridotto ai suoi elementi più semplici (e quindi noiosi), per passare a un “nuovo lavoro” in cui le persone, liberate dalla routine grazie alle tecnologie, sono impiegate al meglio per le loro più intrinseche skills umane.
Se lo sviluppo digitale ha cambiato lo spazio di lavoro e trasformato il modo di lavorare delle persone, l’ottimizzazione dello Smart Place – grazie al concetto di “customer journey” derivato dal mondo del Retail e poi tradotto in “employee experience” – diventa un modo per adeguare (pur mantenendo la ricerca della produttività) gli ambienti di lavoro ai “new ways of working” imposti anche dall’arrivo al lavoro delle nuove generazioni.
Costruire uffici intelligenti per le nuove “smart people” è anche lavoro per le Risorse Umane.
Chi, se non la Direzione HR ha infatti l’importante ruolo di guida del cambiamento? Perché pensare a nuovi spazi e nuovi schemi di lavoro non è solo lavoro per Facility o ITC, ma è soprattutto un esercizio di “people management”. Pensiamo ad esempio al fatto che in questi casi è importante agevolare l’empowerment del personale, integrare le nuove generazioni con quelle più navigate, alzare il livello di comfort dell’ambiente, fornire gli strumenti necessari per la collaborazione a distanza, liberare le persone dalla necessità-obbligo della postazione fissa, puntare sul “bello” per generare “bello” ecc.
In questo percorso interdisciplinare – basato dalla stretta collaborazione tra HR, Facility e ITC – diventa quindi di grande importanza la dimensione culturale ed il benessere delle persone. E’ per questo che prima bisogna focalizzarsi sui famosi “behaviours” e poi solo dopo sui “bytes” e i “bricks”.
L’evoluzione del concetto di ufficio nasce nella Rivoluzione industriale quando quest’ultimo non viene più identificato come un lavoro, ma come uno spazio.
Ma è nella prima metà del ’900 che il lavoro viene suddiviso tra lavoro intellettuale e manuale andando a creare un unico luogo: la fabbrica, destinata a contenere contemporaneamente migliaia di operai e impiegati. In tale contesto lo spazio per il lavoro amministrativo, nonostante fosse separato dallo spazio dedicato alla produzione, seguiva l’idea della catena di montaggio.
Un significativo esperimento di innovazione venne fatto nel 1936 dall’architetto e urbanista statunitense Frank Lloyd Wright andando a progettare gli uffici della SC Johnson a Racine: il salone, con i pilastri a fungo e illuminazione zenitale, è riportato nella letteratura dell’architettura come uno dei capolavori del visionario maestro americano. Si tratta di uno spazio di lavoro ampio, luminoso, ordinato e proporzionato: ancora oggi l’edificio degli uffici amministrativi di SC Johnson è considerato uno dei 25 migliori edifici del XX secolo.
Tra gli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 nasce l’esigenza di un nuovo modo di lavorare in cui l’ambiente non viene più visto come luogo in cui svolgere le mansioni dettagliatamente riportate in un “mansionario”, ma come uno spazio in grado di esprimere una migliore qualità di vita. Nasce così il concetto di “office-landscape”, secondo cui l’organizzazione dello spazio di lavoro si fonda su un insieme di isole o unità di lavoro, posizionate armonicamente tra loro.
Negli anni ’60 comincia la progettazione di layouts che guardano all’ambiente di lavoro come punto d’incontro basato sull’interazione e il coinvolgimento umano dei dipendenti.
Questo stile di design, noto come Bürolandschaft, è un concetto originariamente tedesco che rappresenta una variante europea del concetto di ufficio open space americano e che prevede uffici progettati in modo organico piuttosto che in file di scrivanie, aree semi riservate, divisori con piante e soppalchi per suddividere lo spazio.
Da questi interessanti esperimenti nasce negli anni ‘70 un nuovo tipo di ufficio, chiamato “action office” che, già dal nome, fa capire come lo “stare fissi” seduti al proprio desk è un qualcosa che non è produttivo. Per questo sono previsti ampi spazi e file di mobili modulari, possibilmente provvisti di separatore. Rispetto ad un ufficio ‘open space’, quello operativo porta con sé molti vantaggi: privacy e flessibilità per lavorare in una posizione adatta per il compito da svolgere.
Negli anni ‘80 la maggior parte della comunicazione fra le persone comincia a svolgersi per interazione diretta, durante riunioni di lavoro ed eventi per cui anche gli spazi di lavoro cominciano ad essere progettati su questa filosofia “collaborativa” e sullo scambio di informazioni in grado di promuovere il team-work.
Elementi che, con la rivoluzione informatica degli anni ’90, trasformano il modo di fare business grazie alla creazione di nuovi prodotti e all’offerta di nuovi servizi supportati da nuove forme di progettazione dell’ufficio. In questo momento storico anche il concetto di distanza assume un nuovo significato: si capisce in questi anni che esistono distanze reali e distanze virtuali e che quest’ultime danno spazio a fenomeni di de-localizzazione sia delle esperienze sia delle economie.
Con l’avvento del 2000 emerge poi il concetto di knowledge workers, ovvero di lavoratori caratterizzati da una mobilità maggiore rispetto agli altri dipendenti e che si spostano molto sia all’interno sia all’esterno dell’edificio del luogo di lavoro. A contraddistinguere iknowledge workers è sicuramente la tendenza a raggrupparsi e a identificarsi con la propria professionalità piuttosto che con il proprio datore di lavoro. Ed ecco nascere lo “smart working” (SW). Un modo di lavorare nuovo che, sia chiaro, non deve però essere confuso (come spesso si fa) con il “lavoro da casa”. Smart-working significa infatti lavorare per obiettivi senza un ancoraggio spazio/temporale legato all’ufficio.
Diverse sono le sfumature attribuite a questo nuovo modo di lavorare. In genere si usano termini come: Flexible Working, Agile Working, New Ways of Working.
Con la definizione Flexible Working si intende:
- Flessibilità dell’orario: di entrata e di uscita dal luogo di lavoro, il lavoro condiviso, il lavoro part time, il lavoro a progetto.
- Flessibilità del luogo: lavoro da casa, il lavoro in sedi di clienti o di organizzazioni, il mobile working, il lavoro in co-working.
- Flessibilità nei contratti di lavoro: gruppo di associati, lavoro di libero professionista o altre forme contrattuali alternative.
Quando ci si riferisce invece ai New Ways of Working si guarda ad un nuovo modo di approcciarsi per migliorare le conoscenze sul lavoro, utilizzando soprattutto gli strumenti ICT, con nuove modalità di apprendimento e con maggiore flessibilità nella scelta del luogo e delle pratiche lavorative. Per cui l’innovazione avviene anche da un nuovo modo di adeguare gli spazi dell’ambiente di lavoro per garantire una maggiore ottimizzazione.
Quando parliamo di Smart Place, ci riferiamo ad un nuovo modo di intendere l’ambiente di lavoro le cui caratteristiche possono essere così sintetizzate:
- Flessibilità di locazione;
- Spazi di lavoro aperti, con zone di relax ed interazione;
- Collaborazione, comunicazione e scambio di informazioni tra gli utenti;
- Varie tipologie di (smart)workers che condividono lo stesso ambiente (da persone che lavorano in start-up a quelle assunte nelle multinazionali);
- Servizi ed infrastrutture;
- Design contemporaneo;
- Organizzazioni di eventi e spazi liberi.
Se si considerano gli spazi fisici nell’era dello Smart Working occorre considerare che lo spazio dell’ufficio ha assunto una nuova veste: grazie alla tecnologia l’ufficio infatti ha perso, almeno in parte, il suo ruolo centrale per lasciare spazio ad un’idea di luogo d’appoggio.
Un’altra motivazione della crescente attenzione verso il Physical Layout è rappresentata dal desiderio di migliorare la qualità della vita del lavoratore, considerato che molteplici ricerche hanno dimostrato che ad un più alto tasso di benessere individuale nell’ambiente di lavoro si collega un più alto livello di produttività, creatività e concentrazione.
Riconsiderare il layout degli spazi oggi significa però anche diminuire i costi fissi legati alle “facilities”. In tal senso basti pensare che negli anni ’70 la densità media di un ufficio era di 50 metri quadrati per persona, mentre agli inizi degli anni Duemila la densità arrivò a 25 metri quadrati. La media odierna, invece, è attorno ai 10-15 metri quadrati. Addirittura, negli spazi di co-working si arrivano a raggiungere i 5 metri quadrati per operatore.
Ma parlare di Smart Place non significa solo creare un open space. Lo spazio di lavoro moderno infatti non è più espressione di un singolo modello ma diviene (grazie anche all’uso intelligente di sensoristica e soluzioni di domotica) una combinazione di varie tipologie di spazio: uffici, aree relax, aree meeting, aree di co-working ecc da usare in base all’attività da svolgere.
Ideato da Jeremy Myerson nel 2010 (cfr “New Demographics, New Workspace: Office Design for Changing Workforce”) l’ “activity-based workplace” (ABW) si basa essenzialmente sul fatto che sono le persone a scegliere gli spazi che a loro servono e non viceversa. In tal senso i lavoratori non posseggono un proprio spazio ma diverse “working areas”, tante quante le attività da svolgere.
In tal senso l’ufficio assume una veste integrata e personalizzata, dove in base alla tipologia di attività e alle preferenze personali dell’individuo, si crea uno specifico layout in cui il rapporto scrivania-lavoratore è inferiore ad uno all’interno di un mix di aree di lavoro.
Qualunque siano i dettagli di design (le cui forme possono dipendere dalla creatività dell’architetto e … dal proprio budget) – resta però chiaro che la definizione degli spazi in un ufficio deve essere attentamente gestita basandosi non solo sul modello di business e la propria mission, ma anche sulla mappatura (e relativa “customizzazione”) delle esigenze e caratteristiche dei dipendenti.
Coinvolgere gli “smart workers” nella creazione di uno “smart office” usando un approccio “bottom-up” diventa in tal senso un aspetto molto importante che non può essere uguale in ogni azienda e che non può esaurirsi alla sola fase di start-up. Ecco perchè pensare a un dialogo continuo è fondamentale anche dopo essere entrati in uno “smart office”. Una volta fatto ciò arriverà poi il turno della tecnologia e del design pensati per dare a tutti l’AGILITÀ (che forse è più della “capacità”) di lavorare ovunque e in qualunque momento all’interno di uno spazio stimolante e modernamente confortevole.
Entrare in un nuovo ufficio deve diventare l’ultimo passo di un viaggio iniziato dal cambiamento culturale / organizzativo supportato dalla tecnologia.
Un viaggio che non può essere fatto in breve tempo e senza il supporto del CEO, della Direzione Generale e di tutto il Management!
Ma un punto finale che vogliamo qui evidenziare resta legato al fatto che un ufficio è intelligente non solo se arredato con stile o gestito da sensori o una IOT dell’ultima generazione. Ci sono aziende con uffici di nuova costruzione realizzati da architetti di primo piano, con spazi luminosi, vetrate al posto dei muri, giardini artistici nei terrazzi e pavimenti ecosostenibili in legno che rendono davvero eccitante entrare in questi luoghi! Peccato che a volte capiti di vedere in questi spazi uffici “aperti fuori” ma “chiusi dentro”, perché popolati da persone ancora ancorate ai “vecchi modi di lavorare”.
Ecco perché creare uno “smart office” è qualcosa che non può prescindere dall’avere prima delle “smart people” dentro!