Come innescare l’innovazione imitando la natura
L’exattamento ovvero la capacità di utilizzare un elemento per uno scopo differente da quello per cui è stato introdotto, è ampiamente utilizzato in natura. Una preziosa lezione anche per le aziende.
Mauro Arpino
Lo strano termine exattamento (exaptation) – introdotto dai biologi Stephen Jay Gould e Elisabeth Vrba nel 1982 – esprime un concetto mutuato dalla biologia evolutiva e ancora poco conosciuto al di fuori di quel campo. Tuttavia, esso è estremamente efficace nel descrivere quanto accade in innumerevoli esempi quando un organo o un artefatto assume una funzione differente da quella per cui è sorto. Accade che un carattere evoluto per una particolare funzione ne assuma una nuova, indipendente dalla primitiva: un classico esempio è costituito dalle piume degli uccelli, evolute nei dinosauri presumibilmente per scopi di isolamento termico e poi rivelatesi utilissime per il volo. Questa modalità, tuttavia, non resta confinata nell’ambito di quanto avviene in natura, ma si verifica assai spesso nello sviluppo delle tecniche. L’invenzione del computer è ad esempio il risultato di un processo di exattamento della tastiera della macchina da scrivere, della TV e prima ancora delle schede perforate impiegate nei telai. Significa dunque combinare elementi in modo differente per inventare qualcosa che non esisteva precedentemente.
Un altro esempio tratto dalla natura sono i polmoni di alcune specie di pesci, che si sono poi evoluti nei polmoni dei vertebrati terrestri, ma sono stati anche sottoposti a exattamento per diventare la vescica del gas, un organo di controllo dell’assetto nei pesci che da essi si sono evoluti. Le innovazioni in natura si basano sulle parti di ricambio.
L’evoluzione progredisce prendendo le risorse disponibili e assemblandole per utilizzarle in nuove funzioni. Dobbiamo pensarla più come un bricolage che non ad una progettazione ingegneristica. I nostri corpi, come quelli di tutti gli esseri viventi, funzionano in base al bricolage, raccogliendo pezzi in disuso o impiegando quanto esiste in una funzione diversa da quella per cui sono stati originati.
Solitamente si tende a idealizzare le innovazioni rivoluzionarie, immaginandole come folgorazioni epocali capaci di anticipare i tempi, o colpi di genio saltati fuori dal nulla. Ma in realtà le idee sono il risultato di un processo di “copia e incolla”. Quello che accade è che prendiamo idee ereditate o nelle quali siamo inciampati e le incolliamo tra loro per plasmare qualcosa di nuovo. Nelle nostre vite professionali, nelle nostre attività di tutti i giorni, o nelle organizzazioni in cui operiamo, siamo circondati da potenziali nuove configurazioni e usi di quanto già esiste pronto per scopi radicalmente diversi. Scoprire un uso diverso per quanto c’è a disposizione potrebbe portare ad una innovazione che preservi l’ecosistema o più semplicemente a una innovativa strategia di marketing per il prodotto che la vostra azienda sta per lanciare sul mercato.
Forse la maggior parte di tutti i tratti biologici e degli artefatti umani che sono stati sviluppati per particolari funzioni sono partiti come qualcosa di diverso: le ossa erano in origine semplici depositi di calcio in eccesso, i forni a microonde hanno iniziato la vita come magnetron di radar. L’exattamento descrive quindi un processo evolutivo altamente discontinuo risultante da uno spostamento funzionale di un tratto o artefatto esistente.
Il torchio a vite
Intorno al 1400 un giovane artigiano del Reno cominciò ad interessarsi alle presse impiegate nella viticoltura per la produzione del vino. Si era appena scottato con un’impresa disastrosa che riguardava la produzione di specchietti da vendere ai pellegrini nelle fiere, ma il fallimento di quella iniziativa si rivelò fortunato, spingendo l’imprenditore lungo un sentiero ben più ambizioso. Si era gettato nello studio delle presse, ma Johannes Gutenberg non era interessato al vino. Era interessato ai libri.
Ciascuno degli elementi chiave che rendevano la macchina da stampa tanto rivoluzionaria erano stati sviluppati molto tempo prima che Gutenberg stampasse la sua prima Bibbia. Grazie al suo apprendistato di orafo apportò alcune brillanti modifiche agli aspetti metallurgici dei caratteri mobili, ma senza il torchio per il vino l’invenzione della stampa non sarebbe avvenuta. Un aspetto importante del genio di Gutenberg non risiede tanto nel concepimento di una tecnologia nuova quanto nella capacità di prendere in prestito una tecnologia matura da un campo completamente diverso. La sua innovazione fu ispirata dalla diffusione della pressa a vite nei vigneti renani e la trasformò in un motore di civiltà.
La colla che non funziona
Nel 1968, il dottor Spencer Silver, uno scienziato della 3M negli Stati Uniti, stava tentando di sviluppare un adesivo super forte. Invece creò accidentalmente un adesivo “a bassa aderenza”, riutilizzabile e sensibile alla pressione. Ma a chi interessa una colla che non tiene? Per cinque anni, Silver tentò di promuovere la sua “soluzione senza problemi” all’interno di 3M sia informalmente che attraverso seminari, ma non riuscì a ottenerne l’accettazione. Nel 1974, un collega che aveva frequentato uno dei suoi seminari, Art Fry, ebbe l’idea di utilizzare l’adesivo per fissare il suo segnalibro nel suo libro di inni che impiegava nel coro della chiesa; era stufo di vedere i foglietti che si perdevano. Fry aveva utilizzato la politica del “contrabbando consentito” ufficialmente approvata da 3M per sviluppare le idee. Il colore giallo delle note originali fu poi scelto per caso, poiché il laboratorio accanto al team Post-It aveva solo carta gialla da usare.
La 3M lanciò il prodotto come segnalibro “Press ‘n Peel” nei negozi di quattro città nel 1977, ma i risultati furono deludenti. Un anno dopo, la società invece distribuì campioni gratuiti direttamente ai consumatori a Boise, Idaho con il risultato che il 94% di coloro che li avevano provati dichiararono che avrebbero acquistato il prodotto ed esso fu venduto come “Post-It” nel 1979. L’anno successivo fu lanciato in Canada e in Europa dopo una poderosa campagna promozionale. Una applicazione più recente è il software che riproduce in parte il comportamento dei Post-it, creando delle finestrelle colorate sullo schermo del PC. Una metafora che curiosamente deriva da una colla che “non funziona”.
In cucina con il radar
Un primo modello di magnetron a due poli – un generatore di microonde – fu sviluppato intorno al 1920, ma la potenza prodotta era molto limitata rispetto alle versioni con cavità. La ricerca ebbe una ripresa durante la Seconda guerra mondiale per la necessità di sviluppare rapidamente un generatore di microonde nella banda dei 10 cm (prima erano impiegati 150 cm) adatto per il radar. Così nel 1940, all’università inglese di Birmingham, John Randall e Harry Boot realizzarono un prototipo funzionante di magnetron a cavità risonanti, riuscendo successivamente ad aumentarne di un fattore 100 la potenza emessa. Una prima versione da 4 kW fu costruita dalla britannica General Electric Company e consegnata al governo statunitense nell’agosto del 1940. All’epoca il più potente generatore disponibile negli Stati Uniti – il Klystron – aveva una potenza dell’ordine di decine di watt. Per non destare attenzione, la preziosa merce non fu trasportata da scorte armate, ma spedita con i consueti mezzi postali. Questo tipo di dispositivo fu largamente utilizzato durante la Seconda guerra mondiale dando agli Alleati una notevole superiorità e influendo così sul decorso degli eventi bellici. In particolare, i tedeschi non riuscivano a capire come facessero gli inglesi grazie ai nuovi radar, a prevedere con largo anticipo l’arrivo dei loro aerei e portare in cielo i caccia della RAF in tempo. Ma la storia del magnetron non finisce qui.
La possibilità di cuocere i cibi con le microonde fu scoperta per caso negli Stati Uniti d’America nel 1945 da Percy Spencer, dipendente della Raytheon, mentre realizzava magnetron per apparati radar. Detentore di 120 brevetti, Spencer intuì immediatamente cosa fosse accaduto, dopo che una barretta di cioccolato gli si sciolse in tasca. Il primo alimento che provò intenzionalmente a cuocere fu il popcorn; in seguito provò con un uovo, che però esplose finendo in faccia a uno degli sperimentatori. Nel 1946 la Raytheon brevettò il processo di cottura a microonde e nel 1947 realizzò il primo apparato destinato alla commercializzazione, chiamato Radarange. Era alto 1,8 m, pesava 340 kg, aveva un sistema di raffreddamento ad acqua e produceva una potenza in radioonde di 3 kW, che è da 2 a 4 volte la potenza dei forni domestici attuali. Il successo fu notevole e per espandere il mercato la Raytheon acquistò la Amana, produttrice di elettrodomestici dell’Iowa.
Quante potenziali invenzioni, o nuovi prodotti sono quasi pronti per essere immessi sul mercato e sono alla nostra portata?
Mauro Arpino è nato nel 1965 e ha compiuto studi in fisica. Ha pubblicato nel 1983, “Giove – Il pianeta le osservazioni”, la prima monografia in italiano sull’argomento. Per 19 anni ha svolto attività di conferenziere presso il Civico Planetario di Milano, sia con platee di studenti sia con il pubblico, esponendo decine di conferenze sui più disparati argomenti astronomici. Frutto di questa attività è il testo “Le idee dell’astronomia – Come lo studio del cielo ha cambiato il mondo” del 2010, rilasciato con licenza Creative Commons e liberamente scaricabile online.
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