Creatori di bellezza: verso un nuovo concept di workplace design
Siamo in un’epoca affamata di bellezza.
In un mondo narcisistico e globale, il bello è sempre più spesso un “filtro” non solo dentro e fuori la realtà fisica in cui viviamo ma, addirittura, anche dentro e fuori quella ibrida o virtuale dei moderni mezzi o i canali social.
La cosa non può sorprenderci: universalmente, fin dalle sue origini, l’uomo ha vissuto il bello in senso positivo: non a caso noi tutti, ogni giorno e in qualunque momento, valutiamo o giudichiamo qualcosa o qualcuno su una base estetica!
Ma cos’è la Bellezza?
Difficile darne una definizione: non fosse altro per il fatto che ogni epoca ha il suo “filtro” di bellezza. Di più: a volte, anche in una stessa epoca, il concetto di bellezza coesiste con diversi canoni estetici!
Volendo però generalizzare, possiamo dire che il concetto di bellezza resta di fatto un termine astratto. Come noto, per gli antichi greci e romani il bello aveva una dimensione estetica nell’arte: ai loro occhi la bellezza non era esclusivamente estetica ma più profonda andando a comprendere anche il bagaglio culturale e valoriale dell’uomo. Non a caso già nell’antica Grecia gli uomini, oltre a curare il proprio corpo, si acculturavano andando a teatro, declamando o componendo versi, piuttosto che scolpendo e dipingendo opere d’arte.
È con il Romanticismo e l’Illuminismo che la bellezza è stata collegata alle sensazioni e alle emozioni. Un qualcosa che, scorrendo velocemente la linea del tempo, resta ancora ai nostri tempi: lo “storytelling” pubblicitario oggi porta ancora a comprendere nel concetto di bellezza i canoni emozionali imposti dalla “customer experience” cara alla comunicazione, al marketing e alla moda.
Vero è che l’attuale narrazione mediatica impone stili e modelli sempre nuovi: oggi “stare in voga” significa cercare continuamente i parametri “likati” che – in un mondo “liquido”, globale e VUCA – cambiano sempre più spesso con il veloce mutare delle mode e delle correnti di pensiero.
È per questo che la Bellezza classica fatta di armonia, proporzioni (aurea) non c’è più: perché è cambiato il rapporto tra l’autore e i suoi spettatori. E la psicologia o i bisogni emotivi ed instagrammabili dell’uomo moderno. Un essere sempre più alla ricerca del suo senso umano che, anche alla luce degli ultimi eventi, considera sempre più la bellezza come una sorta di “outdoor experience” che si combina con la Natura e la sua continua capacità, ancora un po’ Romantica, di meravigliarci.
Che sia intuizione come in Kant o sentimento come in Benedetto Croce, resta il fatto che il concetto di Bellezza non è più solo dentro la nostra vita personale ma – grazie al confronto che stimola il nostro desiderio – tutto attorno a noi.
Entrando anche dentro gli spazi di lavoro.
Perché entrare in un bell’ufficio può essere un’emozione simile a quella di un bel paesaggio”, magari simile a quello appena fotografato con il nostro Smartphone e subito condiviso con gli “amici”.
E perché la bellezza per noi uomini resta ancora fissata a un sentimento positivo che, di per sé, è in grado di rimandarci immediatamente ad un qualcosa che comprendiamo (senso estetico) e che per questo apprezziamo, a volte anche senza averne il possesso materiale.
Se in questo senso la bellezza è in grado di stupirci e far scattare l’effetto “uao”, va da sé che allora è in grado di generare produttività.
Eccoci allora arrivati a capire il senso di uffici belli come acceleratori della creazione di valore anche grazie al loro senso estetico.
Eppure, parlandone in azienda, spesso non sempre è facile trasmettere questo suo potenziale senso di acceleratore dell’utile e del produttivo. Anzi, spesso la si liquida come cosa “inutile”, non produttiva se non addirittura “costosa”.
Ma se la bellezza scuote perché – in un certo senso – ci mette in discussione e ci chiama a sorprenderci o, meglio, a prendere maggiore consapevolezza delle nostre potenzialità, ecco allora provato che in realtà il bello non è mai statico. Ma è un percorso da esplorare continuamente e che, come di fronte ad un bel paesaggio, ci porta a uscire dagli schemi usuali.
Ciò che spesso possiamo ricreare in tutti i workplace (e non solo negli uffici!) aprendo prima le menti delle persone (“smart people”) e poi gli spazi di lavoro (“smart office”) così come raccontato nel mio recente libro “Smart Office for Smart People” pubblicato da ISTUD.
“Il bello” di questo percorso è fortemente legato alla cultura e alla bellezza di ogni azienda. Perché ogni azienda ha i suoi valori, le sue origini, la sua storia e soprattutto le sue persone. Ecco perché mi piace dire che un vero “smart office” non può essere il “copia/incolla” di uno spazio fatto in un’altra azienda!
È forse solo in questo modo che la bellezza può diventare “circolare” anche in senso solidaristico, cioè come supporto pratico ed empatico per le persone che abitano il lavoro e i suoi spazi. Non è un caso che molti imprenditori, anche italiani, l’hanno spesso portata e condivisa all’interno dei luoghi di lavoro.
Ma c’è di più: l’esperienza estetica, intesa come esperienza di libertà, ci permette – anche grazie all’arte – di vedere un “bel lavoro” dentro la passione per quello che si fa e che si vive pertanto senza più conflitto o disagio. Un senso che non ha prezzo per il solo fatto che ci permette di ritrovare noi stessi e il significato di ciò che facciamo (job purpose).
In senso manageriale diventa allora facile intuire che, anche grazie a questa consapevolezza, riconoscere la bellezza non significa sottolineare i difetti degli altri ma accettare ciò che è più ampio e diverso.
Perché la diversità non è uno dei soliti slogan da codice etico, ma un vero e proprio argomento della modernità. Ecco allora che quando si deve progettare anche un nuovo ufficio non lo si fa solo perché sia abitato ma anche perché sia diverso. Quella che mi piace definire come Estetica dell’Ufficio in fondo significa proprio questo: non siamo tutti uguali. Neanche negli spazi in cui lavoriamo. C’è a chi piace per esempio stare in piedi in mezzo agli altri e c’è invece chi ama frequentare di più le aree riservate. Ecco allora che chiedere e farsi delle domande quando si deve ripensare agli spazi di lavoro significa anche capire come possiamo vedere le cose in maniera diversa!
Uno stimolo molto attuale: progettare un bell’ufficio – anche in un momento come questo – significa infatti guardare ancora avanti con coraggio e lungimiranza per migliorare le cose e trasferirle, ovviamente, a tutti coloro che vivono quegli spazi e/o sono parte del team.
Motivo per cui possiamo aggiungere che un ufficio è bello quando:
- quello che c’è dentro si trasmette agli altri. Abitare un ufficio fatto da persone con lo stesso obiettivo, fatti sulla ragione che li unisce è forse la challenge “più bella”: perché chi vive sotto lo stesso tetto fa le cose assieme
- tutto attorno c’è aria di “pulito”: vivere in un contesto curato con proporzione invita le persone a usare questi spazi e a dare a chi li abita un’empatia intesa come capacità di capire l’ambiente ed entrare in contatto con esso e ciò che sta attorno. D’altronde, in un ambiente buio e stretto ci sentiamo predisposti a collaborare?
- non è solo “bello fuori”: la bellezza non è esclusivamente estetica, ma comprende anche il bagaglio culturale, di conoscenze e i valori dell’azienda.
Ecco perché forse la bellezza salverà il Lavoro… e quindi anche i suoi spazi!!!
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