La lunga marcia dei discount
In Europa, le nuove star del red carpet del retail sono senza dubbio i discount. Anche in Italia, dove la loro marcia aveva vissuto momenti trionfali negli anni novanta, fino all’apice del 1998, quando la mkt share a valore sul totale grocery aveva toccato 8,4 punti (Fonte Nielsen), per poi calare progressivamente fino al 6,1% nel 2003. Ma da dieci anni a questa parte l’unico format distributivo che non mostra battute di arresto è quello di Lidl e compagnia.
In UK, le performance dei quattro big player Asda, Morrisons, Tesco e Sainsbury’s nel 2014 sono state piuttosto magre. Tesco è in grossa difficoltà, tanto che Moody’s ha declassato il suo rating a junk: non proprio un complimento. Chi se la ride sono Aldi e Lidl che hanno visto le loro vendite salire nel 2014, rispettivamente del 22,6% e del 15,1%. Ora la metà delle responsabili acquisti britanniche utilizza un supermercato Aldi o Lidl: un vero record storico!
Vale la pena soffermarsi un momento sul modello di business di questi nuovi cavalli di razza, in particolare su quello di Aldi. Perchè
La ragione è semplice.
Il discount tedesco fondato nel primo dopoguerra dai fratelli Albrecht (ALbrecht DIscount), si basa su un concetto straordinariamente semplice, che possiamo riassumere in due punti:
- assortimento limitato ma di qualità eccellente
- principi di management ridotti all’osso
Invertiamo la regola e partiamo dal secondo punto, che è il più sorprendente: niente staff centrale di marketing, di controllo di gestione o risorse umane, niente business plan annuali, niente ricerche di mercato o sondaggi, niente analisi di price sensitivity, ma solo e semplicemente il prezzo più basso possibile, sempre. Sono forse degli improvvisati? No di certo: Aldi ha fornitori storici che mantiene nel tempo, a cui chiede rigorosamente qualità, ma con cui stipula accordi che somigliano più ad una partnership, che non ad una prova di forza. E crede molto nella regola empirica, nel trial and error, piuttosto che nelle lunghe e costose analisi.
Inoltre, in Aldi sono fermamente convinti che il consumatore sia vittima di una sorta di sindrome di Stendhal di fronte a un eccesso di offerta. Da una ricerca tedesca (Brandes, 2004) emerge che su 100 consumatori di fronte ad uno scaffale con 24 marchi o con 6 marchi, il 60% di essi è interessato dal primo, mentre solo il 30% al secondo. Primo round agli Iper dunque. Ma quanti di questi realmente comprano? Solo il 3% nel primo caso e ben il 30% nel secondo, il che si risolve in 18 consumatori su mille, se di fronte a 24 marchi, ma 120 consumatori nel caso di offerta limitata a sole 6 referenze.
I Supermercati tradizionali stiano in campana quindi. Ma c’è chi si è già mosso. In Francia Carrefour e Casino hanno confermato buoni risultati e vendite in crescita nel 2014, vs anno precedente. In particolare, la mkt share dei discount è stata ridimensionata da 15 a 12 punti.
Quali sono state le leve?
- Taglio dei prezzi e aumento dell’offerta di private label, che in questo modo sono spesso più convenienti dei prodotti dei discount
- Incremento del focus sui convenience store: i consumatori sono sempre meno propensi ai lunghi spostamenti fuori città
- Introduzione dei servizi click and collect, ovvero prenotazione on line e ritiro presso superstore
- Aumento del potere contrattuale con la creazione di supercentrali di acquisto per spuntare le condizioni migliori con i fornitori
Nonostante i buoni risultati in termini competitivi, i margini dei retailers si sono pesantemente ridotti. Carrefour per esempio, nella sua lotta contro Aldi e Lidl, ha lasciato sul terreno 3 punti di margine: una bella genuflessione.
Le attese verso la ripresa di tutta l’area euro restano tuttora una delle armi di maggiore efficacia per rimpinguare le casse.