Prima tappa del Viaggio verso un’ecologia dei sistemi organizzativi
Diamo dunque inizio al nostro viaggio verso un’ecologia dei sistemi organizzativi, andando per prima cosa a chiarire cosa intendiamo con questo concetto: con “ecologia dei sistemi organizzativi” ci riferiamo alla capacità delle organizzazioni professionali di contribuire alla crescita e al benessere delle persone che ne fanno parte; laddove il “ben-essere” non è soltanto riconducibile alla dimensione materiale o economica (condizioni fisiche di lavoro, stipendio, benefit, agevolazioni) ma anche a quella relazionale (qualità del clima di lavoro) e spirituale (capacità di dare senso alla propria attività). Quanto più un sistema organizzativo è in grado di garantire questo tipo di ambiente, tanto più ecologico dovrà essere considerato.
Come già accennato nell’introduzione, anche solo la reazione personale ad una riflessione come questa ci dà la misura delle condizioni nelle quali siamo abituati a muoverci. Per capirci: se l’idea che il lavoro possa essere fonte di benessere (per come lo abbiamo definito) ci sembra inverosimile o addirittura impensabile, è probabile che gli ambienti professionali all’interno dei quali viviamo siano tendenzialmente malsani. In tal senso, il primo indicatore del livello d’inquinamento psico-sociale di un sistema organizzativo è lo stress percepito dai suoi membri (un più come lo smog lo è per la qualità dell’aria nelle città). Per “stress” intendiamo la reazione negativa del soggetto alla mancata realizzazione dei propri bisogni materiali, relazionali e spirituali: nella misura in cui l’organizzazione NON rende possibile il soddisfacimento di tali bisogni, l’individuo vive una condizione di frustrazione che prende il nome, per l’appunto, di stress. Ecco allora che, in questi termini, lo “stress lavoro-correlato” diventa un eccellente punto di partenza per il nostro viaggio, ovvero: in chiave epidemiologica, possiamo considerare questo fenomeno come un effettivo problema? Quali sono i dati nazionali? E su scala internazionale?
Proviamo a dare delle risposte, anticipando subito che i numeri non sono esattamente confortanti: per quanto riguarda l’Italia, un’indagine Eurispes relativa al 2012 ha evidenziato che il 92% dei lavoratori vive una condizione di stress, pur con differenti livelli di intensità: il 59,5% si dichiara sottoposto a pressioni solo qualche volta, il 21,9% spesso, mentre il 10,6% addirittura sempre. Fra le principali cause emergono: scadenze e pressioni su tempi di consegna (59,5%), mancanza di tempo da dedicare a se stessi (51,7%), carichi eccessivi di lavoro (51,5%), assenza di stimoli professionali (50,5%), precarietà lavorativa (28%), rapporto con i colleghi (27%).
Dobbiamo inoltre tener presente che lo stress, quando diventa un fattore persistente o particolarmente intenso, è da considerarsi come una vera e propria malattia, che comporta la sospensione temporanea dall’attività lavorativa: nel 2010 una ricerca INAIL ha mostrato come, in termini di giornate perse, lo stress in Italia è il secondo problema di salute lavoro-correlato, coinvolgendo il 27% dei lavoratori. La media europea è leggermente più bassa (22%), ma con una ricaduta economica comunque molto rilevante. Eh sì, perchè il danno monetario generato da questo strano fenomeno non è certo trascurabile: nel 2002 la Comunità Europea aveva valutato un impatto diretto di circa 20 miliardi di euro l’anno, cifra che è credibilmente andata aumentando nel tempo. Non è dunque un caso se, come rileva un’indagine promossa da Eu-Osha e condotta da Ipsos Mori nel 2012, l’80% dei cittadini europei (in Italia il 75%) considera lo stress come uno dei principali motivi di preoccupazione e ne teme un aumento nei prossimi anni; così come, da un’altra ricerca su scala Europea (commissionata dall’Eu-Oscha nel 2009), emerge che il 79% dei dirigenti reputa quello dello stress un aspetto molto problematico per la propria azienda.
Insomma, pare piuttosto evidente che quello del benessere, o forse è meglio dire malessere organizzativo, sia un tema tutt’altro che marginale nel dibattito internazionale. E’ talmente evidente che le istituzioni hanno ritenuto necessario dover intervenire sull’argomento, a partire dall’Accordo Quadro Europeo del 2004 (firmato da CES – sindacato Europeo; UNICE sorta di confindustria europea; UEAPME – associazione europea artigianato e PMI; CEEP – associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale). Tale documento, rivolto alle organizzazioni professionali, definiva e descriveva lo stress da lavoro, esplicitava le responsabilità dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori, declinava i principali indicatori per monitorare il fenomeno e proponeva una serie di misure per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo. Queste linee guida sono state recepite in Italia grazie alla’Accordo Interconfederale del Giugno 2008 , in cui si dava particolare rilievo ai benefici economici e sociali derivanti dalla gestione consapevole dello stress nei contesti organizzativi professionali. In quell’occasione lo stress veniva definito come una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative. Ciò, una situazione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e determinare un cattivo stato di salute. Questo nuovo documento ha trovato una traduzione legislativa nel Decreto numero 81 del 2008 , che ha trasformato in norma quanto contenuto nei vari Accordi, oltre a raccogliere, modificare ed aggiornare tutte le normative già esistenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il Decreto è stato poi integrato nei 2 anni successivi con ulteriori specifiche. A conti fatti, a partire dal 31/12/2010 per tutte le organizzazioni professionali sono diventate obbligatorie: la nomina di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), la redazione di un documento per la valutazione dei rischi (DVR), la formazione al personale dipendente sui temi di salute e sicurezza, più una serie di altre misure gestionali e adeguamenti tecnici.
Detto questo, le aziende come stanno reagendo? Come viene percepita la nuova normativa? Efficace in termini di concreta ed effettiva riduzione del problema? Proveremo a riflettere su queste domande nel prossimo capitolo del nostro “Viaggio verso un’ecologia dei sistemi organizzativi”.
Tag:lavoro, stress, worklife balance