Uffici in cerca d’autore
Anche se per le organizzazioni più “agili” l’attuale processo di Metamorfosi del Lavoro – quello che molti identificano nei “new ways of working” – era già da tempo in atto, oggi più che mai resta attuale un importante interrogativo: finita questa crisi pandemica cosa accadrà nel mondo del lavoro? Torneremo ancora in ufficio o saremo più o meno tutti dei “remote workers” senza fissa scrivania?
Una risposta al momento non esiste. Come non potevamo immaginare il COVID e tutto quello che ci ha portato, così parimenti sarebbe rischioso predire con una certa esattezza cosa ci attenderà nel nuovo anno.
Però qualche risposta possiamo provare a trovarla tutti assieme cercando di eliminare per lo meno quelle domande inutilmente “mangiatempo”.
La prima di queste è quella che spesso ancora troviamo tra i vari titoli nei media: nel “nuovo normale”, finita la pandemia, torneremo tutti in ufficio?
È, dicevo, una domanda un po’ inutile o mal posta: perché tutti quanti noi in fondo sappiamo che, ci piaccia o no, l’uomo resta tuttora “un animale sociale”. E come tale ancora oggi ha bisogno di spazi in cui fisicamente “essere sociale”. Quindi:
Keep calm: l’ufficio resterà!
Ma, attenzione (e qui sta il senso di quel “mal posta”), lo spazio ufficio resterà ma non per essere quello di prima.
Per meglio comprenderne il perché, astraiamoci per un attimo dai nostri “perimetri difensivi” in cui ci fa entrare la quotidianità e proviamo a vedere dall’alto il mondo di oggi: com’è? Che cosa vedete in questo mondo moderno?
Mille sarebbero le sfumature che ciascuno di noi potrebbe portare a tal riguardo. Cercando di sommare però un po’ tutti i vari punti di vista, sicuramente potremmo dire che – in generale – il mondo di oggi è globale, connesso, digitale, complicato, veloce, imprevedibile, sempre un passo avanti ma anche alla rincorsa, globale, che unisce ma anche che separa, senza più confini, presente ma a volte assente, emancipato, un po’ inquinato, a volte perso ma senza più intermediazioni, “liquido”, leggero, ibrido, volatile ma anche incerto e ambiguo.
Se sono queste le sue principali caratteristiche, allora che senso ha ancora ragionare polarizzando quasi per scomposizione, per “tempi e metodi”, per ritmi che arrivano e poi passano come le mode, così eliminando molti confini non più del tipo “mio/tuo” ma “noi/voi”?
Il futuro – ci è stato forse detto anche nelle recenti elezioni USA – vuole affrontare la complessità in modo umano e partecipativo, badando più al senso del noi, del “WE”, più che al’ “grande io”. Forse perché davanti al “grande BOH” di questi difficili giorni abbiamo riscoperto tutti che siamo rimasti in fondo ancora fragili e piccoli ma, come successo per la corsa al vaccino, in grado di fare grandi cose in tempi fino a poco tempo fa impensabili.
Di più: tornando a parlare di Lavoro, se tutto è così ha ancora senso pensare ad uno spazio/tempo lavorativo diviso in confini netti come quello di prima? Davvero la risposta alla grande complessità passa ancora dai silos compartimentali o da organizzazioni burocratiche e piramidali? O forse dobbiamo pensare a un nuovo mondo del Lavoro più vicino alle persone intese come clienti, dove tutto è aperto sulla fiducia e alla collaborazione anche grazie a spazi adattabili, fluidi, veloci, aperti, fatti da un WE non solo partecipato da “dipendenti non più dipendenti” ma da noi tutti qui presenti intesi come potenziali collaboratori di un network esteso e potenzialmente infinito.
E così, parlando di uffici, che senso ha allora pensarli “come prima”? Sono davvero solo dei luoghi di un lavoro “forzato da ufficio” in cui sei pesato per le ore che occupi e non per gli obiettivi che – anche in termini di engagement o di experience – hai raggiunto assieme a un team che collabora senza confini?
Forse, un po’ come già capitato nel mondo del Retail, dobbiamo pensare che anche gli uffici sono diventati luoghi in cui si fa “tribù” rispecchiandosi nei valori, nei simboli e nella cultura di una “brand promise” che vuole darti la possibilità di essere parte attiva in un “customer/employee journey”, non importa quanto breve o quanto lunga. Un “sense of purpose” motivante non deve essere solo messo “in facciata” nel web o nei claim ma (per coerenza) anche nei suoi spazi. Anche per raccontare i prodotti o servizi ma anche i valori, la storia o l’expertise che contraddistingue ogni cultura e ogni marchio.
Se in tal modo la collaborazione “agile”, veloce, leggera e digitalmente potenziata diventa il mezzo per raggiungere il fine dell’essere vicini al cliente passando anche dal design culturale degli spazi di lavoro, ecco allora nascere l’esigenza di “abbattere il muro” dell’immobile, del tenere tutto sotto controllo per non distruggere (ma anche per non creare) equilibrio. Questo vuole essere il senso di “aprire la frontiera” del possibile partendo prima dalla cultura delle nostre aziende e poi dai suoi spazi e dai mezzi informatici di supporto.
Se l’essere “adattabili” grazie alla collaborazione e al confronto diventa allora un mezzo semplice per crescere e valorizzarsi in un mondo complesso, diventa necessario ripensare i luoghi di questo nuovo lavoro in maniera speculare al mondo che ci circonda. E così, come nel caso di una sedia o un tavolo regolabili, ecco arrivare il senso di introdurre spazi che ti permettono di “cambiare” posizione, altezza o prospettiva.
Perché il vero Lavoro “agile” non è lo Smart Working casalingo e un po’ naif in cui l’ufficio tradizionale viene spostato copia/incolla a casa. Tutt’altro: è la voglia di mettersi continuamente in discussione senza più confini netti per raggiugere l’obiettivo principale: avere e trattenere clienti.
Il fatto allora di avere spazi modulabili e regolabili, ibridi e riconfigurabili in cui lo spazio segue il fine del nostro lavoro è l’essenza dell’Activity Based Workplace, un “new space of working” da noi già esplorato, in cui tutti – senza alcuna distinzione di ruolo, razza, genere o peso sull’organigramma – si può e si deve contribuire a raggiungere gli obiettivi di business grazie a una cultura della collaborazione aperta anche negli spazi.
Che in tal modo diventano Luoghi non più solo “di lavoro” o ai sensi della Sicurezza, ma, un po’ come una “SPA”, spazi aperti a momenti di esperienza memorabile in cui gli “smart workers” adulti e intelligenti possono anche “liberarsi dalle tossine” (leggi stress) del lavoro da remoto. E così riconnettersi alla bellezza dell’azienda, alle sue persone, alla sua mission e ai suoi valori. Aiutando in tal modo anche ad accelerare le performances del team o il suo “onboarding” grazie al “networking” e al “knowledge sharing”.
Pensare a nuovi uffici “smart” significa non solo pensare all’occupancy ratio, ma soprattutto “capire” gli spazi bilanciando al meglio i diversi bisogni degli utenti andandoli per esempio a mappare in maniera partecipativa, così da farli “a misura d’uomo”. Non solo lato ergonomico / di confort ma anche per dar “luogo” al bisogno di noi tutti di esprimere al meglio e con più libertà la propria identità e i propri valori. E la propria produttività.
Insomma, il nuovo spazio ufficio che ci aspetta sarà molto probabilmente una nuova frontiera culturale e comportamentale ridistribuita in una serie di spazi connessi che, come accade tra i diversi quartieri di una grande città o in una serie di elementi di un ecosistema naturale, le persone potranno scegliere di usare all’interno di un setting “su misura” di una employee experience figlia speculare della customer experience data ai propri clienti esterni.
In tal senso, e pensando al fatto di vivere questa sfida in maniera “liquida”, potrebbe non essere più necessario pensare a grandi edifici “centralizzati” ma, un pò come accade in altri settori, a Hub simili a “musei aziendali” in cui raccogliere e organizzare in senso espositivo / di storytelling tutto ciò che si ritiene possa documentare al meglio la storia e i valori o i prodotti dell’azienda.
Accanto a un Headquarter di tal genere potrebbero poi essere collegati i vari satellliti fatti da “temporary” o “flexible offices” (anche di tipo abitativo) distribuiti sul territorio. Non sempre in maniera fissa, ma a volte usando spazi aperti alla condivisione con altre società del proprio network o indotto. Oppure usando luoghi ibridamente pubblico/privati, aperti al quartiere e agli “smart citizens” così rendendo l’ufficio una “commodity” in cui dare alle persone la scelta di decidere quando interagire fisicamente o ritirarsi invece in aree private.
Insomma, lo sforzo che le aziende dovranno fare sarà quello di immaginare attivamente a un “new future” che dovrà essere inclusivo e non “solo per alcuni”, in cui dare anche alle aziende un compito nel futuro urbano: non solo per abbellire o riqualificare aree della città ma pensando a concedere parte dei propri uffici come spazi “pubblici” per la collettività. E/o allacciando il quartiere in termini di “utilities” o di WIFI in cambio, perché no, di una riduzione di un’aliquota delle tasse o delle imposte comunali. O – per le organizzazioni che desiderano considerare questi concetti come parte della loro strategia di “responsabilità sociale” – l’impegnarsi a far lavorare più vicino a casa le proprie persone significa (come già fatto nel passato) co-progettare con i Comuni spazi quartiere ad hoc, creati sì per il proprio personale ma anche corredati da case, scuole, ospedali, impianti sportivi, mercati ed altri servizi per tutti i possibili “clienti”. L’agglomerazione di lavoratori in cluster locali contribuirebbe tra l’altro a coltivare un senso di appartenenza e socialità più forte.
Se c’è una cosa che la pandemia ha dimostrato è che l’interruzione della routine della vita in ufficio ha fornito, a chi l’ha colta, un’enorme opportunità di apprendimento per re-immaginare il Lavoro e, di conseguenza, il design dei suoi spazi ma anche delle città, delle comunità e delle nostre vite di “smart humans”.
E se l’ufficio allora torna ad essere umano – perché, come abbiamo detto, in fondo parla di noi, delle nostre aspirazioni, sfide e valori – possiamo concludere allora che anch’esso avrà sempre bisogno dei suoi autori e dei loro spazi.
Ecco perché le persone non serviranno più all’ufficio ma saranno gli uffici (e forse le città stesse!) a servire le persone.
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