Federico Fantini – Costruire una cultura sportiva d’impresa
In vista dell’inizio del Master ISTUD in Sport Business Management, abbiamo intervistato parte della nostra faculty per farci spiegare i punti di forza del percorso ISTUD e scoprire i retroscena del volto economico dello sport.
Oltre ad essere fonte di sogni e intrattenimento per miliardi di persone in tutto il mondo, lo sport è anche un settore con un giro d’affari multimiliardario che ha molti punti di contatto con altri settori dell’economia globale.
Oggi pubblichiamo l’intervista a Federico Fantini, manager operante nel marketing sportivo e nella gestione e organizzazione eventi dall’esperienza ventennale che tre anni fa ha fondato ASSI Manager, l’associazione che vuole riunire sportivi del settore e diffondere consapevolezza riguardo al valore economico e umano dello Sport Business.
Buongiorno Federico.
Parlaci del tuo percorso professionale: come sei arrivato a fondare e diventare presidente di ASSI Manager?
Il mio rapporto con il mondo dello sport è nato oltre 20 anni fa, quando lavoravo in Infostrada.
Al tempo le telecomunicazioni non era ancora un settore liberalizzato ma lo sarebbe stato presto, e in molti si stavano muovendo per cogliere al meglio questa nuova opportunità. La mia azienda fece investimenti importanti sulla brand awareness, e uno degli strumenti considerati efficaci nella strategia di comunicazione furono le sponsorizzazioni sportive, che mi ritrovai a gestire per la prima volta. Da allora coltivai una grande passione professionale nei confronti dell’intreccio virtuoso tra sport, marketing e business.
Dopo l’esperienza in Infostrada, passai al gruppo Aprilia. Come Direttore della Comunicazione avevo responsabilità di prodotto, ma anche del reparto corse. L’azienda, storica protagonista nelle corse nella classe 125 e 250 e vera fucina di campioni, entrò anche nella MotoGP. Fu una bellissima esperienza nel motorsport a 360 gradi.
In seguito ricoprii il ruolo di Chief Marketing Officer nei Mondiali di Scii Alpino di Bormio 2005, l’evento sportivo più importante al mondo della stagione invernale. Entrai poi nella holding sportiva della famiglia Benetton, che gestiva le attività professionistiche nel campo dello sport: basket, volley, rugby e gestione delle infrastrutture proprietarie. In quel contesto ho contribuito a fondare il Master in Strategie per il Business dello Sport – del quale sono stato Direttore per quasi 15 anni – in partnership con Università Cà Foscari di Venezia. Ho poi avviato un’attività come consulente nel mondo dello sport business che mi ha portato anche a coordinare il Comitato che propose Venezia come candidata italiana per i Giochi Olimpici del 2020.
Nel 2016 sono rientrato in azienda nel Gruppo Havas, parte della multinazionale Vivendi, con la posizione di Head of Sport. L’obiettivo era rilanciare un’area di grande potenziale nel connettere i brand al consumatore in maniera significativa.
In tutto questo, tre anni fa ho deciso di fondare assieme ad amici del settore ASSI Manager: l’Associazione Italiana dei Manager dello Sport System, di cui oggi sono Presidente. Il nostro obiettivo era ed è quello di promuovere una cultura manageriale e della professionalità all’interno del mondo sportivo italiano.
Puoi definire cos’è, per te, lo sport system?
Lo sport è un fenomeno molto articolato, che coinvolge diversi player della sfera economica e della vita pubblica. Ha connotazioni sociali, culturali, politiche e attraversa tutte le sfaccettature della vita di una comunità, sia a livello locale che a livello globale.
Detto questo, chiariamo un concetto fondamentale: lo sport system non si limita al vertice apicale dello sport professionistico, che occupa pagine di giornali, Internet e ore di televisione.
Quando parliamo di sport system parliamo infatti di una serie di attività che compongono un fenomeno diffuso, quotidiano, che coinvolge tutte le famiglie: l’attività fisica, lo sport di base, la salute, il ruolo e l’importanza che una certa società dà al proprio benessere psicofisico.
Credo, purtroppo, che in Italia non si dia ancora la giusta attenzione a un fenomeno di dimensioni molto rilevanti.
Ci puoi fare degli esempi?
Uno lampante: nella nostra Costituzione, la parola sport è assente.
Tuttavia, anche nei programmi delle amministrazioni di qualsiasi livello, locali o centrali che siano, è difficile trovare accenni importanti ed efficaci al tema dell’attività sportiva, o semplicemente dello sport. È bizzarro che nell’ambito dei programmi di sviluppo non si dia peso a un tema che impatta tutti i cittadini, al di là della loro “fede politica”, sia come impegno sociale, che come impegno economico.
Sono tutti segnali del fatto che in Italia si consideri il settore sportivo ancora come qualcosa di marginale, che può vivere solo in termini di volontarismo al livello di base, di mecenatismo – o speculazione, nei peggiori dei casi – a livello pro, quando in realtà sono proprio questi approcci che “ammazzano” il potenziale dello sport di essere volano virtuoso di crescita e sviluppo.
Al di là di questa tematica culturale, ci sono altri indicatori che indicano un gap della realtà sportiva italiana con quelle estere?
Io ho sempre pensato che la cartina tornasole dello stato di vita di un Paese sia proprio l’approccio all’educazione sportiva, in particolare a partire dalle strutture.
Un Paese che non ha infrastrutture sportive moderne, è un Paese che ha da fare ancora passi importanti per il proprio sviluppo.
L’Italia, ahinoi, è ancora in questa posizione. E non mi pare che, nonostante alcuni passi in avanti, il tema sia all’ordine del giorno o visto come priorità dalla classe dirigente e dall’opinione pubblica, che, anzi, a volte interpreta la creazione di strutture moderne come semplici operazioni immobiliari speculative.
L’assenza degli smart stadia, la scarsa qualità delle palestre scolastiche, e la mancanza di playground nelle periferie delle città, penalizzano fortemente il nostro sistema sportivo. E quindi la crescita civile e culturale dei cittadini.
Dove possiamo trovare esempi in termini di infrastrutture all’estero?
I case study più noti sono naturalmente quelli che provengono dagli Stati Uniti, dove ogni anno vengono investiti miliardi di dollari solamente in nuove infrastrutture. Da noi gli stadi hanno un’età media di 50/60 anni; il più recente risale al 1990.
In questi anni moltissimi Paesi hanno fatto salti in avanti incredibili, anche al di fuori dal mondo anglosassone. Posso citare Polonia, Francia, Spagna o la Germania, dove, per esempio, il basket negli ultimi dieci anni è cresciuto in maniera esponenziale. Questo è successo anche grazie alla qualità dei palazzi dello sport; i cosiddetti palazzetti italiani, un termine diminutivo che continuiamo a usare senza saperne il perché.
Anche i Paesi in via di sviluppo o emergenti stanno scommettendo sullo sport, e stanno vincendo. Ultimamente mi è capitato di viaggiare in India, dove lo sport system sta esprimendo un potenziale incredibile. Per non citare i passi da gigante della Cina, dalle Olimpiadi in poi.
Arene e stadi con servizi moderni generano lavoro e valore aggiunto. E ricavi che rilanciano gli investimenti. Questo circolo virtuoso noi non l’abbiamo ancora innescato.
Per questo, mi auguro, in Italia ci sono enormi spazi di miglioramento.
È per questo che nasce ASSI Manager?
ASSI Manager vuole stimolare l’accelerazione di un processo economico, sociale e culturale che colmi questo gap. Vogliamo mettere l’accento sulla necessità di coltivare le competenze giuste e utilizzarle in modo efficiente, perché è il capitale umano il vero motore dello sviluppo nell’era digitale.
L’obiettivo del nostro lavoro è coltivare una cultura della trasparenza, stimolando un circolo virtuoso che crei lavoro e valore all’interno del sistema economico sportivo italiano. Vogliamo provare che lo sport sia una delle aree in cui innovazione, ricerca e tecnologia sono più all’avanguardia.
Abbiamo bisogno di una cultura imprenditoriale del mondo dello sport, che porti le nostre realtà a sfruttare le occasioni come quelle che la digitalizzazione sta portando in altri settori industriali. Pensiamo per esempio alla profilazione dei fan come consumatori, o all’utilizzo innovativo dei contenuti social come meccanismi di monetizzazione e fidelizzazione.
A Toronto, realtà che conosco molto bene, i migliori talenti usciti dalle università fanno la fila per entrare in società come la Maple Leaf Sports & Entertainment.
Nel nostro paese il settore non riesce ancora a rendere attrattiva una carriera professionale per i talenti, che scelgono altre strade e non prendono neanche in considerazione una carriera nello sport che, tra l’altro, richiede un investimento di energie, impegno e una forza di volontà enorme.
Un’incapacità di comunicare la serietà di un percorso? Forse, ma non solo.
Secondo te quali sono le competenze chiave per entrare nel mondo dello Sport Business Management?
A fianco di competenze hard trasversali indispensabili, le competenze che contano davvero, secondo me, sono quelle soft.
Bisogna essere curiosi. Andare al di là della superficie. Anticipare i trend. Copiare intelligentemente le best practice. Oggi abbiamo gli strumenti per accedere a qualsiasi informazione di cui abbiamo bisogno: dobbiamo sfruttarli.
Un’altra competenza cruciale è quella delle lingue. Senza non si va da nessuna parte. E poi essere flessibili, capaci di lavorare in team, riuscire a rendere al massimo sotto pressione.
Lo sport management è un’attività legata molto al calendario degli eventi. Bisogna avere una grande capacità di programmazione e la resilienza necessaria per tenere il passo con gli impegni presi nell’intera stagione.
Qual è il futuro dello sport business management in Italia?
Nonostante il gap esistente, qualcosa si sta muovendo. Lentamente, ma si muove.
Società di calcio importanti di vertice negli ultimi anni stanno investendo nel rinnovamento delle proprie strutture. E i risultati si vedono. La Juve vince ormai da 10 anni, e non solo perché ha CR7.
I grandi eventi internazionali che arriveranno in Italia come la Ryder Cup o i Giochi Olimpici Estivi di Milano Cortina 2026 dovrebbero facilitare investimenti e accelerare il processo di modernizzazione del settore. Ma c’è ancora moltissimo da fare.
C’è bisogno di una formazione specialistica di grande qualità, ma anche l’intenzione da parte delle organizzazioni sportive, delle Leghe, delle Federazioni e delle Aziende di recepire nuovi input e investire sulle persone.
La sfida è costruire una cultura sportiva d’impresa su tutti i livelli.
Master come il vostro e Assimanager l’hanno raccolta.
Grazie Federico! Ci vediamo in aula per la tua testimonianza!
Certo! A presto!