Oil free, indipendenza energetica, biocarburanti: utopia o realtà
Di Sergio Riccardi
I biocarburanti di seconda generazione possono rappresentare l’alternativa alle fonti fossili senza rubare spazio all’agricoltura e all’alimentazione. Una ricerca, portata avanti in Italia, ci conduce verso un futuro di energia pulita e indipendenza dalle fonti rinnovabili, aprendo nuovi scenari, ambientali e geopolitici.
Sono ormai noti i biocarburanti ottenuti da coltivazioni alimentari, quali il bioetanolo ricavato dagli zuccheri estratti dai cereali o dalla canna da zucchero e il biodiesel estratto da alcuni tipi di semi. Ma A? anche ben conosciuto lo strascico di problemi connessi alla loro produzione, prima di tutto il consumo di suolo agricolo. Coldiretti ha stimato che per soddisfare il fabbisogno dei 34 milioni di veicoli italiani, che consumano in media 1000 litri di carburante all’anno, bisognerebbe destinare ai biocarburanti colture per 40 milioni di ettari, quando l’intera superficie coltivabile in Italia A? attualmente di 13 milioni di ettari e in costante diminuzione. Allargando la veduta a tutto il mondo, un tale uso di risorse agricole comporterebbe, e anzi ha già comportato in maniera rilevante, un aumento dei prezzi dei terreni coltivabili, e di conseguenza dei beni alimentari di prima necessità quali i cereali. Altro aspetto preoccupante è la deforestazione operata nelle aree tropicali per far spazio alle coltivazioni di soia e palma da olio. Insomma, un business interessante ma nel complesso poco sostenibile, allo stato attuale delle cose.
Un problema al quale la tecnologia sta cercando di trovare delle soluzioni, sviluppando dei validi sostituti come ad esempio i “biocarburanti di seconda generazione“, nati da uno studio realizzato nei laboratori di ricerca della “Mossi & Ghisolfi“, azienda nata in Piemonte ma presente in tutto il mondo, fino ad oggi focalizzata sui materiali plastici ma sempre più protagonista nel mondo delle energie verdi.
Durante il convegno “Green 3.0. Italia, più verde meno spread“, organizzato da Fondazione ISTUD e tenutosi a Milano il 5 dicembre scorso, il direttore Ricerca e Sviluppo di Mossi & Ghisolfi, ha illustrato i risultati del lavoro portato avanti dal team di giovani e specializzati ricercatori italiani e le sue imminenti applicazioni industriali e produttive.
Il bioetanolo di seconda generazione è ricavato, così come quello di prima generazione, tramite la fermentazione di zuccheri e la successiva distillazione, ma in questo caso i glucidi sono ottenuti, tramite alcuni enzimi di recente scoperta, dalla cellulosa presente in abbondanza in tutte le specie vegetali. Una coltura particolarmente adatta A? la “canna comune” (Arundo Donax), capace peraltro di vivere su terreni marginali, con poca acqua, caratterizzata da ritmi di crescita rapidissimi e disponibile 11 mesi all’anno. Ma soprattutto dotata di una produttività ben superiore a quella della canna da zucchero: 10 tonnellate di bioetanolo all’ettaro, contro 6. In aggiunta alla cellulosa ottenuta dalla canna, il processo si può applicare a tutte le altre materie vegetali, quali paglia, biomasse, scarti agricoli e alimentari, sfalci, e via dicendo: tutti prodotti non-food quindi, non concorrenziali con le colture destinate all’alimentazione umana. Come se non bastasse, dai processi intermedi della lavorazione A? possibile ottenere prodotti chimici che potenzialmente potrebbero sostituire il petrolio per gli altri suoi utilizzi, ossia quelli destinati alla produzione di materiali sintetici e plastici.
Grazie a questa scoperta la possibilità di una società davvero oil-free, capace di fare a meno delle fonti fossili e non rinnovabili per tutti gli odierni utilizzi, inizia a farsi largo nelle nostre menti.
I vantaggi più immediati sono quelli ambientali. Il bioetanolo e i suoi derivati sono “puri”, senza solfuri o polveri sottili, e soprattutto la CO2 emessa dalla loro combustione viene bilanciata dalla fotosintesi clorofilliana delle stesse piante utilizzate nel processo produttivo.
Ma pensiamo oltre: oil-free potrebbe significare l’indipendenza energetica per ogni nazione, in grado di basare la propria economia produttiva unicamente sul territorio, senza dover dipendere da fonti estere. Non è fantasia: la Svezia nel 2006 ha redatto un documento che prevedeva di rendere la nazione indipendente dai combustibili fossili entro il 2020, progetto poi “congelato” per motivi di politica interna.
Un mondo profondamente rinnovato quindi, sia a livello ambientale, sia a livello geopolitico.
Ci sono ancora molti passi in avanti da fare tuttavia; l’energia necessaria per produrre un litro di bioetanolo, considerando tutti i passaggi (coltivazioni, lavorazioni, trasporti, ecc…) è per ora appena inferiore a quella ottenuta. Il rapporto tra le due, l’indice “EROEI”, è quindi di poco superiore a 1, mentre quello del petrolio fossile, un tempo superiore a 100, oggi sceso, data la crescente difficoltà di estrazione, ma resta sempre superiore alla decina. Dovranno passare quindi altri anni perchè i costi dei biocarburanti pareggino quelli dei prodotti raffinati dal petrolio, ma l’evoluzione delle tecnologie, grazie ad importanti investimenti sulla ricerca come quello portato avanti dal gruppo Mossi & Ghisolfi, corre ormai sempre più veloce
Tag:Green 3.0