La salute nel mondo: un’introduzione all’ebook della XX edizione del Master Scienziati in Azienda
Introduzione dell’ebook “La salute nel mondo”, redatto dagli studenti della ventesima edizione del Master ISTUD Scienziati in Azienda. L’introduzione è a firma di Alessandra Fiorencis, Medical Writer per Istud Area Sanità e Salute.
Specchiarsi negli altri
Un “sapere della differenza”: questa una delle definizioni che sono state date all’antropologia culturale (Fabietti et al 2002), sebbene non esaustiva. D’altra parte, già solo parlare di differenza – o di alterità, diremmo in antropologia – apre a ulteriori interrogativi.
Se un “sentire” antropologico si può ritrovare nei secoli di storia europea e non (Casella 2000), l’antropologia culturale come disciplina nasce nell’Europa dell’Ottocento in pieno paradigma positivista, caratterizzandosi come lo studio di quelli che venivano definiti “popoli primitivi”.
Nel Novecento, tuttavia, emergono due tra gli intenti principali di questa disciplina: da una parte, studiare – anche al fine di salvaguardarle – quelle società che l’Occidente ha conosciuto nel suo movimento di espansione, col colonialismo prima e con la globalizzazione caratteristica del neoliberismo poi; dall’altra, operare una critica alla società occidentale stessa.
L’antropologia «pone all’uomo un grande specchio che gli permette di osservarsi nella sua molteplice varietà» (Kluckhohn 1979) e sempre più si afferma in questo movimento riflessivo.
Questo “essere tra mondi” che caratterizza l’antropologia è possibile proprio perché la sua ricerca si è sviluppata in “zone di contatto” (Fabietti 1999).
Come ben espresso dall’antropologo Ugo Fabietti, l’antropologia è un sapere che nasce su una frontiera, ma al contempo è un sapere di frontiera: essa comincia come una riflessione accademica sulle società incontrate dall’Occidente moderno nella sua espansione coloniale, ma assume una posizione sempre più critica riguardo all’egemonia della cultura occidentale stessa, e alla tendenza che questa ha di riportare il mondo unicamente alle sue categorie esperienziali e interpretative.
L’antropologia è «un altrove metaforico, che mette alla prova le certezze della tradizione culturale da cui proviene» (Fabietti et al 2002).
Le culture: vasi comunicanti
La cultura, dunque: una prima definizione antropologica viene data nel 1871 da Edward B. Tylor, che la riconosce come caratteristica dell’essere umano in quanto tale, ma ancora oggi il concetto è fortemente dibattuto.
Gli antropologi contemporanei, infatti, hanno riconosciuto che i tentativi di reificare la cultura, di rappresentarla come una totalità, ancora oggi influiscono fortemente sull’immagine di un mondo diviso in popoli, etnie, culture, e identità ben distinti e riconoscibili (Fabietti et al 2002), anche se è indubbio che queste divisioni siano alimentate anche da interessi di altra natura: essenzializzare la cultura spesso è un pretesto per creare forme di esclusione, di gerarchia o di dominio (Saillant et al 2011).
Parallelamente alla reificazione ed essenzializzazione della cultura, gli antropologi hanno evidenziato la tendenza a sopprimere la temporalità delle altre società, come se vivessero in un eterno presente (Herzfeld 2006).
Al contrario, le culture –come le identità – sono processi dinamici, instabili e mutevoli, e attraversati dalla storia: non sono sistemi chiusi, ma si contaminano le une con le altre, sono storicamente situate, e possono essere comprese solo da una prospettiva che tenga conto di questi movimenti di cambiamento, mescolanza e sincretismo.
Ora, queste riflessioni riguardano non solo gli universi culturali, ma anche le modalità in cui “siamo nel mondo” e come lo esperiamo: parliamo quindi del corpo e dei suoi stati di salute e malattia, che gli antropologi riconoscono, al di là del dato biologico, come culturalmente disciplinati.
Il corpo come oggetto culturale
L’antropologia medica è quella branca della disciplina antropologica che si occupa specificamente di studiare il corpo, la salute, la malattia e come le diverse società hanno elaborato concezioni complesse (che chiamiamo “sistemi medici”) della sofferenza fisica e mentale, nel tentativo –più o meno coerente –di spiegarle e curarle.
Parliamo quindi di concezioni locali del corpo e dei suoi stati: nessun sistema medico, nessuna medicina può considerarsi svincolata dal contesto culturale, sociale e storico dentro cui si sviluppa e viene messa in pratica (Fabietti 2004).
Se l’antropologia medica nasce proprio con l’obiettivo di indagare l’esperienza e la rappresentazione della sofferenza e della malattia all’interno delle diverse società umane (Pizza 2005), ha poi cercato di coniugare queste ricerche con la ricostruzione di processi sociali, culturali, economici e politici storicamente determinati: è immergendo il corpo nella cultura e nella storia che ne possiamo mettere in discussione il carattere “naturale”.
La biomedicina: un prodotto della modernità occidentale
Questo, ovviamente, non significa negare il valore della “nostra” medicina, la biomedicina, così definita in quanto si concentra sugli aspetti organici e biologici degli stati del corpo (Pizza 2005): vuol dire, però, riconoscere che anche il modo di guardare, di indagare il corpo che poi ha portato all’affermarsi del sistema biomedico ha avuto origine in un determinato periodo storico, economico, filosofico e culturale, che non a caso noi chiamiamo “modernità”.
Prima, anche in Europa vi erano altre concezioni del corpo, della salute e della malattia, che man mano sono state relegate nella superstizione e nella magia, e come tali screditate (Federici 2015).
È necessario riconoscere che questo atteggiamento scientifico occidentale non ha riguardato solo i sistemi medici “interni” alternativi alla nascente biomedicina –pensiamo a tutte quelle pratiche che sono state raccolte, spesso per omologazione, sotto l’etichetta di “medicina popolare” (Charuty 1997).
La biomedicina a confronto con il diverso
La biomedicina inserita nel dispositivo coloniale ha avuto un peso notevole nel relegare la molteplicità dei sistemi medici con cui si andava confrontando –e per lo più scontrando –nel mondo dell’irrazionale, del magico, del primitivo: e spesso, ancora attraverso questo pregiudizio guardiamo ai sistemi medici altri.
Sono sistemi medici che, per semplificazione, vengono definiti come tradizionali, proprio per sottolineare la loro alterità dalla biomedicina –e forse questo è anche un segno implicito del fatto che continuiamo a considerarli come non moderni.
In realtà, la disciplina antropologica ci ha permesso di riflettere criticamente su cosa è tradizione: anche questo, un concetto mutevole e dinamico, che riassume quegli elementi (ad esempio una festività, un rito, una pratica) che –in epoche passate –sono stati selezionati per far parte della cultura, e che da allora riconosciamo come costitutivi della nostra identità. Ma anche le tradizioni possono cambiare, possono arricchirsi e ibridarsi: il processo di selezione culturale e identitaria non si ferma.
Allo stesso modo, al di là di come le vogliamo chiamare, anche le medicine tradizionali hanno avuto uno sviluppo, una storia, anche prima di incontrarsi/scontrarsi con la biomedicina: anzi, hanno dovuto imparare a dialogare con essa, spesso addirittura integrandola, ben prima che la biomedicina si ponesse il problema di aprirsi ad altre medicine.
Il nostro ebook “La Salute nel Mondo”: guardare l’altro cogliendone la ricchezza
Veniamo dunque a questo e-book, “La salute nel mondo”: non è un manuale di antropologia, e non voleva esserlo nei suoi intenti. Quello che però coglie, nel lavoro di ricerca su come altre società abbiano inteso (o continuino a intendere) il corpo e il suo esperire, è quel senso di “curiosità antropologica” che ci spinge al confronto.
Il campo medico è forse il terreno più difficile, proprio perché il corpo che abbiamo –il corpo che siamo –è ciò che consideriamo di più naturale in assoluto, a maggior ragione se il nostro sistema medico ci riporta così fortemente al dato biologico.
Dalle tradizioni di cura peculiari dell’Africa Subsahariana (capitolo 1) all’ayurveda (capitolo 2) e la medicina tradizionale cinese (capitolo 3), allo sciamanesimo caratteristico della Siberia (capitolo 4), di parte dei continenti sudamericano (capitolo 5) e nordamericano (capitolo 6), ai guaritori tradizionali aborigeni australiani (capitolo 7), vediamo come questi sistemi medici si sono affermati e modificati nel tempo, quali restano i loro riferimenti culturali, cosa ha comportato l’incontro con la medicina occidentale e quali sono le possibili interazioni con il modello di salute proposte dall’Organizzazione Mondiale della Salute (capitolo 8): una proposta sfidante per gli autori, che hanno dovuto superare gli assunti “naturali” della loro formazione, e per i lettori che seguiranno, anch’essi invitati a ripensare i propri schemi di pensiero in relazione al corpo e alla cura.
Proviamo quindi a posizionarci sulla frontiera di sistemi medici diversi, di differenti modi di concepire, definire e negoziare il corpo e la cura.
Lo sforzo è coglierne la ricchezza, la complessità e la dinamicità: il risultato è quello del mettere in gioco le nostre stesse categorie, arrivando a riconoscere la molteplicità dei modi di intendere il corpo, la salute, la malattia e la cura.
Bibliografia
Casella A, 2000. Lineamenti essenziali di Antropologia Culturale. Milano: ISU Università Cattolica.
Charuty G, 1997. L’invention de la médicine populaire. In Gradhiva, 22, pp. 45-57.
Fabietti U, 1999. Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione. Bari: Editori Laterza.
Fabietti U, Malighetti R, Matera V, 2002. Dal tribale al globale. Introduzione all’antropologia. Milano: Bruno Mondadori.
Fabietti U, 2004. Elementi di antropologia culturale. Milano: Mondadori Università.
Federici S, 2015. Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria. Milano-Udine: Mimesis.
Herzfeld M, 2006. Antropologia. Pratica della teoria nella cultura e nella società. Firenze: SEID editori.
Kluckhohn C, 1979. Lo specchio dell’uomo. Milano: Garzanti.
Pizza G, 2005. Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo. Roma: Carocci.
Saillant F, Kilani M, Graezer Bideau F (a cura di), 2011. Manifeste de Lausanne. Pour une anthropologie non hégémonique. Montréal: Liber.